Silenzio, voce, parola e danza
Abstract: The dance, and the naked voice, and both the vocal and the extra-vocal singing are the ways, indeed perhaps the unique way, that can lead, through an (intimate) silence, to the dream, that is an eternal and timeless moment in which we can understand and clarify the meaning of the everything and of the nothing present inside every man/woman.
«Tutto si può dire ma senza tra-dire cioè senza sforzature, imposizioni ed esclusioni»1.
Saper dire, sapere quando e quanto dire non significa pronunciare il falso o affermare il vero con finalità ingannevoli. Forse perché connaturata all’uomo, è la danza a svelare – come, spesso, avviene in altri contesti – il senso di questo ardito dire. Essa riesce a esprimere tutto senza fonare e, anche e proprio in questo silenzio, professa la verità sapendo come esibirla o proporla affinché si comprenda in modo trasparente e immediato, sebbene estremamente rischioso di ir-ripetibilità. È così che chi la frequenta può ascoltare senza parlare e vedere senza essere visto. In questo impenetrabile incontro tra due ricchezze (quella dell’artista e quella del pubblico) si compie il mistero del non-sense dell’arte che si fa ora rifiuto ora massima accettazione (anche – ma non necessariamente – masochistica più di quanto non appaja alla prima osservazione).
«Lavoro nelle zone di intersezione, tra le fessure, dove la voce comincia a danzare, il corpo a cantare, il teatro a divenire cinema»2.
L’Arte è inter-sezione; la sua ricezione soggettiva ed emotiva è at-tra-versamento e con-fluenza, sin-estesia. Non si potrebbe pensare a un’Arte che non susciti in chi la riceva e la gusti sin-estesie morbide oppure violente. Lavorare per essa comporta un’ottica di com-prensione prima di tutto da parte di chi la offre, poi da quella di chi ne fruisce, la “usa”.
«Si danza per esser guardati»3.
L’Arte, infatti, va “usata” perché ha un valore meta-fisico ma anche fisico, concretamente tattile, neurotrofico, con-dizionante, co-esivo, e-ducativo, dis-e-ducativo; mai in-erte4.
L’Arte presuppone un voyeurismo di fondo che è ben accetto e ben noto a chi la agisce e/o la fruisce. Senza l’occhio severo o benevolo, spento o procace del pubblico ovvero anche di una sola persona, l’arte può rischiare di perdere significazioni, di avere un valore nullo, posto che il valore sia relato a qualcosa che necessariamente vada filtrato previa cattura da parte dei sensi di un altro e non soltanto dei proprî.
Invero, però, si danza – si fa arte – non soltanto per essere guardati ma per guardarsi. In tal caso, l’atto artistico e il pojetico hanno sempre un valore intr(in)-seco. Emerge questo concetto considerevole: l’importanza dell’arte non può essere facilmente oggettivabile; è soggettiva, inter- e intrasoggettiva e non dipende dal giudizio di terzi che si frappongano tra opera e autore. È in essa e di essa, soltanto perché e quando in relazione con un altro, foss’anche il solo “performatore”; l’Arte usa in primis il duale, non il singolare o il plurale. Una volta “creata” non appartiene più ad alcuno, risplende di luce propria ma necessita di un tu – qualunque sia – per restare/dirsi viva. Tale alter – persino lo stesso autore – non è detto che la comprenderà mai appieno perché averla creata non vuol dire averla necessariamente com-presa in tutte le simboliche e nella sua de-finitiva sostanza di multi-vers-ità trans-vers-ale.
Ecco perché, al fine di intendere in pienezza il mondo, la poíesis presuppone che le arti si dovrebbero conoscere tutte insieme.
La danza, la voce nuda, il canto vocale ed extra-vocale sono le vie, anzi la via che, attraverso il silenzio (non necessariamente fisico o intimistico ma sempre intimo), possono condurre al sogno, quell’attimo eterno e senza tempo, quel nunc puntiforme e surreale nel quale si può chiarire il senso del tutto e del nulla presente dentro ogni uomo e che le voci, a differenza della danza, ridondanti di simboli e strutture, se non sono ricondotte all’humus, non possono affatto celebrare.
Miglior esempio per comprendere a fondo questo assioma è (e probabilmente rimarrà) un’opera ardita: “Caught” (letteralmente, ‘preso’, ‘fermato’) di David Parson (coreografia e ideazione luci; 1977).
«Voce è movimento reso udibile».
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1Così David Maria Turoldo in: Gianfranco Ravasi, Cantico dei Cantici. …Come sigillo sul cuore, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, 234 (modif.)
2Affermazione di Meredith Monk. Cfr. Tony Montague, Intervista a Meredith Monk, in: The Globe and Mail, 11 Novembre 2005
3Cfr. Dominique Dupuy (Negro C., ed.), La saggezza del danzatore, Mimesis, Sesto San Giovanni 2014
4L’etimo latino della parola rimanda proprio a: sine arte.
Estratto da: Alfonso Gianluca Gucciardo, Silenzio e Voce, Qanat, Palermo 2016, 27-29 (modif.)